lunedì 24 marzo 2014

WHITE HUNTER I - "OVERTURE"

1

Odore di muschio e di terra bagnata che si intrecciano sotto alla luna piena. Il cielo gravido di pioggia e così minaccioso da incutere timore. Qualcosa si muoveva nel bosco.

L’uomo si accorse di stare sognando ad occhi aperti. Si riprese, osservò la folla ed iniziò a parlare.                                             
«Un sentito saluto a tutti i membri della comunità di Tall Pines per essere venuti fin quaggiù malgrado questo tempo orribile.»  
Trevor Davis indossava un gessato scuro che, a prima vista, sembrava essere stato chiuso nell'armadio fino a cinque minuti prima. L'uomo si schiariva in continuazione la gola come se non fosse abituato a parlare a voce così alta. Di fatto, riunioni simili erano piuttosto rare in una piccola cittadina come quella e l’ultimo vero raduno della popolazione risaliva alla grande tempesta del ’59.                                                            
Ora la storia si ripeteva e un gigantesco banco di nubi si stava accalcando all'orizzonte, lungo la linea grigia dell’oceano in burrasca. La cittadinanza aveva a lungo atteso una situazione simile e si era premunita, con largo anticipo, di scorte e beni di prima necessità atti a superare questo momento di tensione nel modo più comodo possibile. L’ultima volta che i loro nonni avevano affrontato a quel modo il clima invernale era stato un disastro, dal punto di vista sia economico che psicologico. Leggende metropolitane narravano di anziani morti di infarto a causa dei tuoni, di strane creature nei boschi e di un sottomarino della seconda guerra mondiale che emergeva dalle onde alte fino a sei metri.                                                                                    
Quando una intera città era messa sotto uno stress così pesante come poteva essere l’isolamento forzato, la gente semplicemente cercava di incanalare e plasmare la propria paura in una forma a loro congeniale. Qualcosa di fisico, che poteva essere affrontato nella vita di tutti i giorni.                                                        
Questo fenomeno era andato ad ingrandirsi durante i successivi dieci anni e, mentre gli edifici crollati per le intemperie venivano ricostruiti uno dopo l'altro, crebbe a tal punto da formare una sorta di folklore. 
Storie, favole e leggende nate e morte sotto all'ululare del vento e alla pioggia incessante delle cosiddette “tempeste perfette”.
L’unico problema era che questa volta sarebbe piovuto sul bagnato.                                                                                                                                                                              
«Come ben saprete, una tempesta di grandi dimensioni si sta dirigendo verso questa parte del paese e la nostra isola è proprio nel mezzo. Non vorrei allarmarvi, ma i meteorologi hanno stimato una entità piuttosto alta in quanto a impatto atmosferico.»
Il sindaco Trevor si schiarì di nuovo la gola e riprese immediatamente.
«L’ufficio dello sceriffo Blake ha assicurato pieno supporto a tutti coloro che ne faranno richiesta, soprattutto durante questo periodo di disagio, e lo stesso si può dire della clinica del signor Gunnerson. Ma sono sicuro che non si arriverà a tanto, giusto?» Un uomo dalla mascella volitiva in abiti civili si alzò tra la folla e annuì energicamente con il capo, imitato subito dopo da un anziano con indosso un pullover blu scuro.                                                                                             
Lo sguardo di Trevor dardeggiò lungo il discorso che aveva preparato la sera prima, evidentemente riassumendolo così su due piedi.                                                       
«Per quanto riguarda la scomparsa dei piccoli Nathan, Katrin e Thomas le ricerche verranno momentaneamente sospese, per essere successivamente riprese a tempesta finita. Sono davvero desolato per questo ma non preoccupatevi, le cose andranno sicuramente per il meglio.» L’uomo alzò lo sguardo dai fogli sul leggio e lo fece spaziare sulla folla che aveva davanti. Sembrava che tutta la cittadina si fosse radunata nella sala congressi e, di fatto, era così.
I suoi occhi si soffermarono su Danny Goldman, il padre di Thomas.                                                                
Questi non guardava il podio come il resto della folla, ma teneva lo sguardo fisso su di un anziano di colore incurvato dall'età seduto in seconda fila.                                                                                
Due mesi prima i tre bambini erano scomparsi dai propri letti senza lasciarsi dietro alcuna traccia. I genitori di quest’ultimi avevano partecipato alle ricerche in maniera quasi maniacale, percorrendo innumerevoli miglia di sentieri sterrati. Percorsi aspri e inclementi che hanno abitato l'isola per secoli, almeno tanto quanto gli stessi alberi nodosi che ne ricoprono la maggior parte.                         
Una svolta si ebbe quando nel blocco da disegno della piccola Katrin venne trovata la frase “Parlo spesso con l’uomo del bosco, ma l’uomo del bosco non mi risponde” tracciata con un pastello rosso nel modo incerto che hanno i bambini di imitare la calligrafia degli adulti. Le accuse avevano iniziato ad indirizzarsi verso Leonard Staker, l’eccentrico solitario ed eterno capro espiatorio della piccola comunità.                                                          
Piagato nella mente e nel corpo dalla senilità l’anziano aveva deciso, a seguito della morte dell’unico figlio, di vivere in totale isolamento. I ragazzini amavano raccontare che l’ultima cosa che sarebbe passata per la testa di chi si fosse avvicinato troppo alla sua catapecchia decrepita sarebbe stato un colpo di fucile. Una cosa del genere era successa solo la notte di Halloween dell’anno precedente, quando una decina di giovanotti aveva deciso di bombardare di uova e carta igienica la dimora del vecchio. L’unica a rimetterci era stata una zucca intagliata posata sulla staccionata che circondava la casa, ma l’evento aveva comunque avuto un certo peso su tutta la comunità.                                            
L’uomo era stato interrogato per ore dimostrando non solo di essere estraneo ai fatti, ma anche di essere totalmente inoffensivo. Ciò non era bastato a Danny, il quale aveva continuato a covare l’odio bruciante nei confronti di Staker che ora lampeggiava nei suoi occhi come un laser mortale uscito da qualche vecchio film di fantascienza. Era stata colpa del vecchio e Dio solo sapeva cosa avrebbe fatto per dimostrarlo.                                                 
Trevor Davis distolse lo sguardo dalla platea e ritornò al proprio discorso. Parlò ancora una volta del tempo e, dopo un lieve commiato incoraggiante, si eclissò giù per le scalette del podio. La signora Davis lo stava aspettando seduta il prima fila, con le unghie laccate di rosso e la borsetta ne troppo ne poco costosa stretta sotto al braccio. Si salutarono con un veloce bacio sulla guancia e si immersero nella calca di persone che affollava l’uscita della sala congressi.

2

Le strade erano sgombre ed incessantemente battute dalla pioggia. Presto l’avvisaglia della tempesta si sarebbe abbattuta sulla città, forse per saggiarne la resistenza prima della grande mazzata.    
“Siano benedette le gomme antiscivolo” pensò Trevor mentre scalava dalla prima alla seconda marcia sul suo SUV color crema. L'uomo teneva una borsa del ghiaccio sullo zigomo destro, proprio dove un parente alla lontana del signor Goldman lo aveva colpito con un pugno.
Era stato fermato vicino alla macchina e, al grido di "Stronzo, hai le mani macchiate di sangue innocente", un gancio gli aveva fatto perdere conoscenza per un paio di minuti. Come temeva, era stato annoverato tra i colpevoli. Il suo crimine? Rimandare le ricerche e forse diventare responsabile indiretto della morte di tre bambini. 
La giornata era stata molto pesante ed ora aveva solo voglia di tornare a casa, togliersi le scarpe e sprofondare nella poltrona a leggere il giornale. Aveva cercato di accendere la radio all'inizio del viaggio di ritorno, ma non aveva trovato altro che statico su tutte le frequenze.                                                                                
Quella settimana era la terza volta che gli capitava di sognare ad occhi aperti. Fissava lo sguardo, svuotava la mente e semplicemente andava. Meglio non pensare a scemenze simili, sicuramente era tutta colpa dello stress.                                              
Seduta sui sedili posteriori, Donna parlava al telefono con una amica su quanto il pettegolezzo che lo sceriffo si recasse ogni sabato sera a casa della vedova Miller per darle un bella ripassata fosse ridicolo.                                                                          
Davis, il viso sempre più gonfio a causa del futuro ematoma, la osservò nello specchietto retrovisore.                             
Era la classica casalinga americana imbozzolata nel lusso medio-borghese che la carica del marito poteva permetterle. Non aveva figli cui badare (non li aveva mai voluti da lui, ne li avrebbe mai voluti) ma lo stesso aveva il proprio bel daffare tra le mura domestiche. Spazzare i pavimenti, lavare i piatti e ogni tanto una scopata con il suo bel Trevor per mantenere la passione abbastanza alta da permetterle di continuare quella vita senza preoccupazioni di sorta.                                                                             
Forse un tempo c’era stato amore nell'aria, ma ora tutto ciò che si sentiva era l’aroma della pioggia mischiata al terriccio del cortile mentre il SUV veniva parcheggiato nel garage.                           
Non sarebbe servito un indovino che scrutava le interiora di un uccello per prevedere cosa sarebbe successo dopo.                
Donna fece il solito commento su quanto le giornate fossero diventate corte con l’avvicendarsi dell’inverno e si apprestò a cucinare. Mangiarono spaghetti alla bolognese accompagnati da vino rosso. Sparecchiarono. Lei caricò la lavastoviglie (niente mani insaponate per quella sera) e si mise a guardare la televisione assieme al marito.                                                                           
Il grosso della tempesta era in avvicinamento e il segnale pesantemente disturbato rendeva incomprensibile qualsiasi cosa stesse avvenendo nel colorato mondo di Ugly Betty, quindi smontarono baracca e burattini e si misero a letto.                                                                                                                             
Fecero l’amore sotto alle coperte mentre fuori la fredda notte invernale era squarciata dai tuoni e flagellata dalla pioggia. Fu davvero piacevole fino alla fine e, quando si addormentarono, entrambi erano un po’ più felici.

Trevor stava correndo. Il fiato corto e i polmoni in fiamme mentre i rami bassi degli alberi gli sferzavano la faccia. Le piante dei piedi, nude, erano ricoperte di fango e foglie morte.
Sussurri e voci si levavano dai tronchi cavi, ondeggiando sui cespugli e nelle tane degli scoiattoli. Stava arrivando e questa volta arrivava per lui.                                                         
Qualcosa lo colpì. L’ano si rilassò e l’uomo si cagò semplicemente addosso, inzaccherando i pantaloni di feci.                              
Una folata di vento agitò le cime degli alberi mentre un urlo si levava nel bosco.

3

Leonard Staker stava caracollando lungo il sentiero, accompagnato solo dal suo bastone da passeggio preferito e dalla schiena dolorante a causa dell’età.                                                 
Era mattina presto e la rugiada bagnava ancora i cespugli. L’odore dell’erba e della terra bagnata ispiravano una calda sensazione di familiarità, oliando i nervi e dilatando i neuroni. Odore di casa, dei giardini appena tosati e di giornali raccolti direttamente sul vialetto.                                                                                         
Era stata una notte di tempesta e, anche se il grosso del casino flottava ancora all'orizzonte come uno zeppelin grigio, il sole riusciva di tanto in tanto a squarciare le nubi che offuscavano il cielo invernale. Illuminava una cittadina ancora assopita tra il calore delle trapunte imbottite.                                                         
I polmoni avvizziti del vecchio pompavano come mantici mentre questi ansimava costeggiando i primi edifici a ridosso del bosco e, se il dottor Gunnerson fosse stato nelle vicinanze, lo avrebbe fatto sicuramente fermare a sedere per riprendere fiato. Rischiava di tutto, da un infarto fulminante allo scivolare sul fango umido e rompersi un femore. Un uomo della sua età non avrebbe mai dovuto sopportare tutto quello sforzo e tutto in una volta, per giunta.     
Le serrande dei negozi erano ancora chiuse e l’alba ancora troppo vicina per attirare i turisti lungo la via principale. Quell'anno, a causa del maltempo, questi ultimi erano stati molto scarsi e il numero di facce sconosciute che piluccavano la famosa torta di mele di Mildred giù alla tavola calda era spaventosamente esiguo.
L’anziano oltrepassò il locale serrato e si fermò.                                                                                                          
Raggiunta la propria destinazione, Staker fece scattare l’indice ossuto verso l’interruttore della stazione di polizia della contea di Tall Pines come fosse un missile terra-aria e, al quinto scampanellio, la porta venne aperta dall'assonnata figura di Kenny Blake.            
Il fratello dello sceriffo nonché vice in carica eletto democraticamente dai cittadini aveva gli occhi ancora gonfi di sonno e la divisa scompostamente fuori dai pantaloni.
«Cristo, Staker, hai idea di che ore sono? » L’uomo gettò pigramente uno sguardo all'orologio da polso. «Appena le sei meno un quarto, cazzo. Spero tu abbia un buon motivo per svegl» L’uomo si rese conto della gravità di ciò che stava dicendo, e per giunta a ridosso del bel discorso fatto del sindaco la sera prima in cui l’ufficio dello sceriffo si metteva a disposizione dei cittadini per ogni evenienza.                                     
«Volevo dire» Riprese Kenny «Signor Staker, cosa è successo per spingerla fin qui in città? A quest’ora, per giunta.»              
Leonard stava ansimando per la scarpinata e, quasi piegato in due per riprendere fiato, bofonchiò qualcosa a mezza bocca che svegliò il vice sceriffo definitivamente. L’uomo sgranò gli occhi e aprì la bocca, ma non trovò nulla da dire.                                                                                                                                                         



«I-il sindaco Davis. Il sin-daco Davis. E’ morto.»

Nessun commento:

Posta un commento