«… e possa
la luce del Signore scacciarvi per sempre. Vi benedico nel nome di Gesù Cristo,
che si è immolato per i nostri e i vostri peccati! Vi benedico perché un atto
di pietà brilla mille volte più forte del fratello Sole! Vi benedico con gioia,
perché la Lieta Novella è giunta fino a noi…»
La voce
era squillante e lievemente piagata da un accenno di dialetto, ma l’effetto che
ebbe fu lo stesso strabiliante.
Le
orribili creature, che assomigliavano ad esseri umani ma esseri umani non
erano, si portarono istintivamente le mani alle orecchie. Alcune lo fecero in
maniera così subitanea e brutale da arrivare a conficcarsi le unghie
direttamente ai lati della testa, facendone scaturire fiotti di denso sangue
nero.
Molte, nel
tentativo di fuggire il più lontano possibile da quelle odiate parole, incespicarono
alla cieca sui propri stessi passi e si calpestarono a vicenda in una corsa
forsennata. Il baccano della fuga risuonò assordante tra le pareti di quella
che un tempo era stata la Galleria Alberto Sordi, ora un semplice cunicolo
invaso da immondizia e rottami.
Alcuni
mostri resistettero più a lungo, scuotendo la testa come per cancellare
furiosamente l’idea stessa di quella voce che continuava a gridare a pieni
polmoni.
«… vi
dico, fuggite! Ritornate nei vostri antri nel cuore della terra, come
scarafaggi abbagliati dalla luce del Signore! Scappate dinnanzi alla sua giusta
furia!»
La
figura in nero, in piedi su di un’automobile ribaltata e con il volto coperto
da una maschera di cuoio, chiuse di schianto il breviario e mise mano alle
pistole.
Queste
erano molto simili a dei comuni revolver, armi di un vicino passato in cui
chiunque poteva possederne una, ma i calci in legno inciso e le canne decorate
tradivano la loro natura prettamente casalinga.
Un paio
di mostri si gettarono in avanti, con le braccia ciondolanti e la bava alla
bocca, nel tentativo di raggiungere l’umano prima che potesse armare le
pistole. Furono troppo lenti e non poterono fare a meno di osservare increduli lo
sbocciare di enormi fori sul proprio corpo, come fiori di carne e sangue apertisi
alla luce della luna che filtrava dai vetri fracassati del lucernaio.
Si
accasciarono rumorosamente a terra, proprio mentre gli ultimi fuggitivi venivano
ingoiati dalle tenebre dell’ingresso.
Davanti
alle fumanti bocche da fuoco restavano, all'ombra del vetro decorato che
ricopriva la Galleria, circa una mezza dozzina di creature troppo testarde o
stupide per darsi alla fuga dinnanzi al pericolo.
Erano
immobili a quasi tre metri di distanza, in piedi e con le fauci spalancate a
mostrare file irregolari di denti marci.
Avevano
un aspetto patetico, con il corpo rachitico che si trascinava senza posa da un
piede all'altro e gli arti che venivano scossi da improvvisi ed incontrollati
spasmi. I demoni avevano abusato di quei corpi presi in prestito con la
possessione, riempiendoli di ferite e mutilandoli per il semplice gusto del
dolore.
Una di quelle
bestie, con i lineamenti delicati da bambina deformati da un’espressione di
puro odio, si fece avanti. I suoi occhi erano di un blu molto chiaro, quasi
eterei nel loro contrasto con la squallida figura che accompagnavano.
«Fatti i
cazzi tuoi, prete.» Il mostro dagli occhioni azzurri sputò quasi letteralmente
l’ultima parola, caricandola di disprezzo come fosse stata una spregevole
imprecazione. La voce era roca e cavernosa.
«Sento
il tuo puzzo schifoso fino a qua, prete. Stai facendo il bagno nella merda, eh?
O hai qualche pensiero strano che ti frulla in testa? »
La
figura minuta si contorse lentamente, passandosi le mani sudice sul corpo
martoriato in una movenza incredibilmente adulta.
Da
dietro la maschera non sembrò trasparire alcuna reazione né alcuna intenzione
di assecondare la bestia.
«Vattene
via e lasciaci quella puttana. Potrai scopartela dopo che avremo finito e, se
lo farai, ti lasceremo vivere.»
Le
pistole presero a muoversi come dotate di vita propria, puntando
alternativamente i bersagli senza sparare un colpo. A terra, poggiata contro
l’automobile ribaltata e con la spada ancora stretta nel pugno, giaceva la
ragazza svenuta.
I lunghi
capelli corvini le si erano sciolti sugli spallacci dell’armatura e un rivolo
di sangue le aveva imbrattato la gorgiera. Altro sangue copriva la lama e il pavimento
circostante, ma questa volta era nero come inchiostro di seppia.
«Ho
detto di allontanarti, prete. La puttana è nostra.»
I
pollici armarono entrambi i cani delle pistole, facendoli scattare con un
vibrante suono metallico.
«Non
prendo ordini da te.»
I colpi
rimbombarono come cannonate per tutta la Galleria, riempiendo l’aria del puzzo
metallico del sangue e della polvere da sparo.
Le
pistole ripeterono ad una velocità assurda il percorso studiato poco prima,
dispensando morte e pallottole ad ogni bestia ghignante che era in vista.
Il
mostro dalle fattezze quasi innocenti si portò istintivamente una manina
davanti al volto, ma questa divenne nient’altro che un moncherino sotto alla
furia del piombo. Gli occhi azzurri si riempirono di sangue e schizzarono fuori
dalle orbite, mentre ciò che rimaneva della testa scattava all'indietro ed inondava un’altra bestia con un denso fiotto di sangue.
La
creatura iniziò ad urlare e volse le spalle in una fuga frettolosa, portandosi
le mani deformi al volto nel tentativo ti pulirlo e riacquistare la vista. Gli
occhi cisposi erano diventati puntaspilli pieni di schegge d’osso e,
sicuramente, non si sarebbero mai ripresi.
Un
proiettile le trapassò il ginocchio, frantumandolo e facendola cadere di
schianto.
La
figura in nero saltò giù dell’automobile ribaltata, atterrando con uno schiocco
secco sul marmo e mettendosi a camminare frettolosamente in direzione della
bestia.
Questa
si stava trascinando rumorosamente a terra, con una gamba che pendeva inerte e
che di tanto in tanto si incastrava con i rottami dei numerosi veicoli che
ingombravano la Galleria. L’arto era rimasto attaccato al resto del corpo solo
con una piccola porzione di carne e muscolo, quasi reciso dall'esplosione del ginocchio.
«Noi
siamo Legione! Noi siamo uno dei Maggiori! Noi sediamo alla destra del Caduto!»
La voce
era identica a quella della pseudo-bambina, solo questa volta piagata da gemiti
di dolore e rabbia.
La
creatura continuò a ripetere le stesse frasi, cantilenando come un giocattolo
rotto, finché non si sentì ribaltare sulla schiena. Con uno strappo secco, la
porzione di gamba rimasta si staccò dall'osso e ricadde a terra.
Le mani guantate
stavano ricaricando le pistole in gesti ormai divenuti automatici, senza essere
degnate nemmeno di uno sguardo da parte della figura in nero. La maschera in
cuoio era fissa sul volto dell’indemoniato.
Essa
rappresentava una grottesca figura a metà tra il becco di un uccello e un volto
umano, con gli occhi coperti da spessi vetrini scuri e la sezione inferiore
aperta a mostrare una leggera ma ispida barba.
Subito
sopra c’erano un paio di sottili labbra scure che, all'inserimento dell’ultimo
bossolo nel tamburo, si arricciarono in un sorriso sardonico.
Il
silenzio venne interrotto un ultima volta e, mentre lo sparo riecheggiava per
la Galleria, la figura in nero si diresse verso la ragazza accasciata a terra.
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