martedì 15 luglio 2014

Infestissumam - Prologo

«… e possa la luce del Signore scacciarvi per sempre. Vi benedico nel nome di Gesù Cristo, che si è immolato per i nostri e i vostri peccati! Vi benedico perché un atto di pietà brilla mille volte più forte del fratello Sole! Vi benedico con gioia, perché la Lieta Novella è giunta fino a noi…»
La voce era squillante e lievemente piagata da un accenno di dialetto, ma l’effetto che ebbe fu lo stesso strabiliante.
Le orribili creature, che assomigliavano ad esseri umani ma esseri umani non erano, si portarono istintivamente le mani alle orecchie. Alcune lo fecero in maniera così subitanea e brutale da arrivare a conficcarsi le unghie direttamente ai lati della testa, facendone scaturire fiotti di denso sangue nero.
Molte, nel tentativo di fuggire il più lontano possibile da quelle odiate parole, incespicarono alla cieca sui propri stessi passi e si calpestarono a vicenda in una corsa forsennata. Il baccano della fuga risuonò assordante tra le pareti di quella che un tempo era stata la Galleria Alberto Sordi, ora un semplice cunicolo invaso da immondizia e rottami.
Alcuni mostri resistettero più a lungo, scuotendo la testa come per cancellare furiosamente l’idea stessa di quella voce che continuava a gridare a pieni polmoni.
«… vi dico, fuggite! Ritornate nei vostri antri nel cuore della terra, come scarafaggi abbagliati dalla luce del Signore! Scappate dinnanzi alla sua giusta furia!»
La figura in nero, in piedi su di un’automobile ribaltata e con il volto coperto da una maschera di cuoio, chiuse di schianto il breviario e mise mano alle pistole.
Queste erano molto simili a dei comuni revolver, armi di un vicino passato in cui chiunque poteva possederne una, ma i calci in legno inciso e le canne decorate tradivano la loro natura prettamente casalinga.
Un paio di mostri si gettarono in avanti, con le braccia ciondolanti e la bava alla bocca, nel tentativo di raggiungere l’umano prima che potesse armare le pistole. Furono troppo lenti e non poterono fare a meno di osservare increduli lo sbocciare di enormi fori sul proprio corpo, come fiori di carne e sangue apertisi alla luce della luna che filtrava dai vetri fracassati del lucernaio.
Si accasciarono rumorosamente a terra, proprio mentre gli ultimi fuggitivi venivano ingoiati dalle tenebre dell’ingresso.
Davanti alle fumanti bocche da fuoco restavano, all'ombra del vetro decorato che ricopriva la Galleria, circa una mezza dozzina di creature troppo testarde o stupide per darsi alla fuga dinnanzi al pericolo.
Erano immobili a quasi tre metri di distanza, in piedi e con le fauci spalancate a mostrare file irregolari di denti marci.
Avevano un aspetto patetico, con il corpo rachitico che si trascinava senza posa da un piede all'altro e gli arti che venivano scossi da improvvisi ed incontrollati spasmi. I demoni avevano abusato di quei corpi presi in prestito con la possessione, riempiendoli di ferite e mutilandoli per il semplice gusto del dolore.
Una di quelle bestie, con i lineamenti delicati da bambina deformati da un’espressione di puro odio, si fece avanti. I suoi occhi erano di un blu molto chiaro, quasi eterei nel loro contrasto con la squallida figura che accompagnavano.
«Fatti i cazzi tuoi, prete.» Il mostro dagli occhioni azzurri sputò quasi letteralmente l’ultima parola, caricandola di disprezzo come fosse stata una spregevole imprecazione. La voce era roca e cavernosa.
«Sento il tuo puzzo schifoso fino a qua, prete. Stai facendo il bagno nella merda, eh? O hai qualche pensiero strano che ti frulla in testa? »
La figura minuta si contorse lentamente, passandosi le mani sudice sul corpo martoriato in una movenza incredibilmente adulta.
Da dietro la maschera non sembrò trasparire alcuna reazione né alcuna intenzione di assecondare la bestia.
«Vattene via e lasciaci quella puttana. Potrai scopartela dopo che avremo finito e, se lo farai, ti lasceremo vivere.»
Le pistole presero a muoversi come dotate di vita propria, puntando alternativamente i bersagli senza sparare un colpo. A terra, poggiata contro l’automobile ribaltata e con la spada ancora stretta nel pugno, giaceva la ragazza svenuta.
I lunghi capelli corvini le si erano sciolti sugli spallacci dell’armatura e un rivolo di sangue le aveva imbrattato la gorgiera. Altro sangue copriva la lama e il pavimento circostante, ma questa volta era nero come inchiostro di seppia.
«Ho detto di allontanarti, prete. La puttana è nostra.»
I pollici armarono entrambi i cani delle pistole, facendoli scattare con un vibrante suono metallico.
«Non prendo ordini da te.»
I colpi rimbombarono come cannonate per tutta la Galleria, riempiendo l’aria del puzzo metallico del sangue e della polvere da sparo.
Le pistole ripeterono ad una velocità assurda il percorso studiato poco prima, dispensando morte e pallottole ad ogni bestia ghignante che era in vista.
Il mostro dalle fattezze quasi innocenti si portò istintivamente una manina davanti al volto, ma questa divenne nient’altro che un moncherino sotto alla furia del piombo. Gli occhi azzurri si riempirono di sangue e schizzarono fuori dalle orbite, mentre ciò che rimaneva della testa scattava all'indietro ed inondava un’altra bestia con un denso fiotto di sangue.
La creatura iniziò ad urlare e volse le spalle in una fuga frettolosa, portandosi le mani deformi al volto nel tentativo ti pulirlo e riacquistare la vista. Gli occhi cisposi erano diventati puntaspilli pieni di schegge d’osso e, sicuramente, non si sarebbero mai ripresi.
Un proiettile le trapassò il ginocchio, frantumandolo e facendola cadere di schianto.
La figura in nero saltò giù dell’automobile ribaltata, atterrando con uno schiocco secco sul marmo e mettendosi a camminare frettolosamente in direzione della bestia.
Questa si stava trascinando rumorosamente a terra, con una gamba che pendeva inerte e che di tanto in tanto si incastrava con i rottami dei numerosi veicoli che ingombravano la Galleria. L’arto era rimasto attaccato al resto del corpo solo con una piccola porzione di carne e muscolo, quasi reciso dall'esplosione del ginocchio.
«Noi siamo Legione! Noi siamo uno dei Maggiori! Noi sediamo alla destra del Caduto!»
La voce era identica a quella della pseudo-bambina, solo questa volta piagata da gemiti di dolore e rabbia.
La creatura continuò a ripetere le stesse frasi, cantilenando come un giocattolo rotto, finché non si sentì ribaltare sulla schiena. Con uno strappo secco, la porzione di gamba rimasta si staccò dall'osso e ricadde a terra.
Le mani guantate stavano ricaricando le pistole in gesti ormai divenuti automatici, senza essere degnate nemmeno di uno sguardo da parte della figura in nero. La maschera in cuoio era fissa sul volto dell’indemoniato.
Essa rappresentava una grottesca figura a metà tra il becco di un uccello e un volto umano, con gli occhi coperti da spessi vetrini scuri e la sezione inferiore aperta a mostrare una leggera ma ispida barba.
Subito sopra c’erano un paio di sottili labbra scure che, all'inserimento dell’ultimo bossolo nel tamburo, si arricciarono in un sorriso sardonico.
Il silenzio venne interrotto un ultima volta e, mentre lo sparo riecheggiava per la Galleria, la figura in nero si diresse verso la ragazza accasciata a terra.



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